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Nella parte occidentale della Lidia anatolica un bel giorno, infatti, intorno alla metà del settimo secolo a.C. si videro circolare dei pezzi più o meno grandi di metallo prezioso sui quali il re aveva fatto imprimere il suo sigillo. Erano pezzi di una lega speciale d'oro e d'argento, chiamata dai greci elettro. Il favoloso re Creso, nel 550 a.C. circa, fece coniare le prime monete d'oro puro. Dalla Lidia i greci presero il sistema aureo che si ricollegava direttamente alle origini sumero-babilonesi.

Nell’antica Grecia, al giudice che entrava in tribunale si consegnava quale simbolo della sua carica il bastone da giudice, che egli restituiva appena emessa la sentenza. A ricompensa della sua prestazione, egli riceveva poi uno o più spiedi di ferro (proprio di quelli usati per infilarvi l'arrosto) munito dei quali egli si recava dal sacerdote che, secondo il numero degli spiedi, gli assegnava uno o più pezzi di carne. Lo spiedo si chiamava obelòs, che in seguito si tramutò in obolòs. Lo spiedo, che altro non era se non un’asta di ferro lunga anche un metro e mezzo e quindi poco maneggevole, assunse le caratteristiche di unità di misura per il baratto, finché re Fidone di Argo, che visse tra l'ottavo ed il settimo secolo a.C., li sostituì con monete d'argento che il popolo continuò a chiamare obeloi, ritirando gli spiedi che dedicò alla dea Era Argiva, nel cui tempio sono stati di recente rinvenuti

La moneta immediatamente superiore si chiamò dracma, parola che letteralmente significava una manciata di oboli e corrispondeva a sei oboli (mezza dozzina dunque).

E' interessante notare come, pur basandosi il sistema ponderale sul solito numero dodici sumero-babilonese, i greci introdussero in parte la suddivisione decimale, facendo la mina pari a cento dracme, del peso - nei tempi più remoti - di quattro grammi e trentasette d'argento. Venticinque secoli fa la Grecia iniziava quell’operazione di decimalizzazione che gli inglesi sono giunti ad effettuare vent’anni orsono.

Di un'altra operazione finanziaria furono promotori gli antichi Greci: della svalutazione. Il contenuto d'argento della dracma passò, infatti, a quattro e venti e poi, nel secondo secolo a.C. a quattro grammi e zero otto, mentre il titolo fu mantenuto quasi sempre puro.

L'introduzione della moneta fu assai più che mi semplice cambiamento nella forma esterna della retribuzione, poiché segnò per i greci il trapasso dalla forma di vita esclusivamente agricola a quell’urbana, con un contemporaneo incremento del commercio e dei traffici; lo scambio di merce con denaro e viceversa era ormai diventato prassi generale tra i mercanti. Ma, con l'espandersi del commercio, sorgeva un'altra difficoltà, dovuta al fatto che le monete erano molto differenti fra loro. Al Pireo, porto di Atene, sorsero allora i primi banchi dei cambiamonete; su di essi si accumulavano le monete delle città greche e della Magna Grecia, che presentavano soggetti vari, per lo più ripresi dal mondo animale o vegetale, oppure un omaggio alla divinità tutelare del luogo di emissione.

Ecco dunque la testuggine marina ad Egina, il toro di Sibari, la spiga di grano a Metaponto, il sedano di Selinunte, la testa di Atena e la civetta, simbolo della saggezza, ad Atene.

Sui pezzi che ancor oggi vediamo circolare, ritroviamo alcuni simboli che, dall’invenzione della moneta, ricorrono con una certa regolarità: sulla moderna moneta da cinque lire riappare il delfino che era cavalcato da Taras il mitico fondatore della città di Taranto - sugli stateri d'argento; nel biglietto di banca da cinquecento lire, emesso dalla nostra repubblica nel 1966, vi è l’ultima elaborazione della testa della ninfa Aretusa che era raffigurata sui famosissimi decadrammi d'argento di Siracusa, emessi sotto il tiranno Dionisio primo. Anche il rovescio di tali monete siracusane, con la celebre quadriga trionfante al galoppo, sarà più volte imitato.

Possiamo già notare come, fin dal loro primo apparire, le monete rispecchino - nelle varietà di peso e metalli – il momento economico, nonché - nelle loro figurazioni - le tendenze artistiche e religiose del periodo. Ma anche le vicende militari e politiche incominciano ora ad avere importanza: nella Lidia, occupata dai persiani, fu coniato il darico (da Dario I), sul quale è rappresentato per la prima volta il re stesso e che fu battuto fino alla conquista della Persia da parte di Alessandro Magno.

Questi, venuto in possesso d’ingenti quantità d’argento ammassate a Persepoli dai re persiani - onde ribadire il suo predominio sui territori acquisiti - le fece subito trasformare in monete con la sua effigie, che vennero immediatamente poste in circolazione in gran copia, sostituendo come monete di carattere internazionale i nummi persiani. Ne conseguì uno stimolo alla domanda di beni ed una notevole rianimazione dell'economia; tutta la potenza e la ricchezza si andavano a mano a mano accentrando presso i re ellenistici; ma questa ricchezza era tanto enorme da attirare le mire del nuovo grande Stato che andava sorgendo: Roma.

Fino al IV secolo A.C. i contadini romani vivevano in una forma di economia di tipo omerico. Intorno al 400, poi, i conti si iniziarono a fare sulla base dell’aes-rude, cioè pani di rame o bronzo di forma rettangolare che avevano varie dimensioni e pesi. Questi pani furono sostituiti in seguito da fusioni preventivamente pesate e garantite da un contrassegno, fusioni dette aes signatum; "Primus signavit aes", ci dice Plinio parlando di Servio Tullio, ed ancora: "mensuras et pondera constituit". La prima vera moneta romana fu di bronzo fuso, la cui unità, detta asse, pesava una libbra latina (circa 272 grammi), per cui queste prime emissioni sono chiamate dai numismatici aes grave vale a dire rame pesante, e si divideva in cinque sottomultipli. L’ipotesi di uno storico tedesco che il nome della pesante moneta romana as (as,assis) fosse identico, quanto all’origine alla parola assus, cioè cotto sul fuoco, può far pensare che anche presso i romani la remunerazione dei servizi resi allo stato fosse costituita da un pezzo di carne che era una parte della vittima del sacrificio.

Queste monete, che rivelano ancora nello stile l'influenza greca, pur con successive modificazioni, coprirono un arco di tempo che va dal 335 al 268 a.C., quando Roma stessa coniò per la prima volta nella sua zecca urbana una moneta di carattere interamente romano.

Proprio alla zecca di Roma dobbiamo l'origine della parola Moneta; tale stabilimento era, infatti, posto nel tempio di Juno Moneta, così chiamata per i saggi avvertimenti dati in più occasioni ai romani, ed i cui attributi erano la bilancia, il moggio e il cubito.

Ed ecco che qui nasce un pezzo d'argento destinato ad avere grande importanza nella storia della monetazione: il denario. Accompagnavano il denario, come pezzi divisionali, il quinario ed il sesterzio.

Ha inizio in questo periodo la monetazione romana repubblicana, controllata dai magistrati preposti alla zecca, che ci presenta una vasta serie di figurazioni, sovente del più alto interesse storico, con le immagini di alcuni dei più famosi personaggi della storia di Roma. Non appare però mai il ritratto d'una persona vivente sino a Cesare, che - pochi mesi prima della morte - ebbe questo privilegio dal Senato. Con Cesare iniziò un periodo molto tormentato di lotte civili, i cui effetti si possono notare sulle monete; su di esse, infatti, quasi tutti i contendenti fecero apporre la propria effigie, ed abbiamo così modo di riscoprire attraverso questi pezzi le rivalità, le lotte e le alleanze che si succedettero fino al trionfo d’Ottaviano Augusto.

Sebbene sia abitudine generale considerare l’inizio della monetazione imperiale romana dai conii di Cesare o di Pompeo Magno, mi pare più fondato far cominciare tale decorrenza dalla proclamazione d’Ottaviano a "pater patriae".

Augusto, tra le altre varie riforme amministrative, attuò anche una riforma della monetazione, introducendo un sistema monetario valido per l’impero romano in tutta la sua ampiezza. Ma, attraverso gli imperatori succedutisi in seguito, col decadere dell'impero che - alla stregua dell’attuale Inghilterra - si era troppo adagiato sulle colonie, importandone ogni genere di prodotto, si dette l'avvio al successivo svilimento del denaro.

Oltre agli altri nefasti, si addebita a Nerone anche la prima riduzione nel peso dell'aureo, moneta che venne poi battuta con un oro a titolo sempre più basso. Questa ennesima cattiva azione neroniana va certamente attribuita alla sua ben nota mancanza di scrupoli; lo scrupolo era d'altronde anche una moneta divisionale romana.

Diocleziano impose uno dei primi calmieri, stabilendo su tavole in pietra prezzi massimi per le merci di consumo giornaliero, ma il tentativo fallì ben presto.

Costantino, coll'intenzione di far cessare questo incalzante deterioramento dell'aureo, coniò una nuova moneta d'oro, cui attribuì il significativo nome di solido, moneta destinata ad avere grande importanza nei secoli seguenti e pesante poco più della metà dello aureo d’Ottaviano Augusto.

Ma l'impero d'occidente, sotto il peso militare della difesa degli interminabili confini e delle lotte civili e oppresso dal conseguente fardello economico di funzionari, truppe di presidio e barbari assoldati era ormai prossimo allo schianto.

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Julius Caesar, Denarius 44 B.C.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Marcus Antonius et Octavianus, Denarius 41 B.C.

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