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La moneta, oggetto oggi come nel passato di accese e discordanti discussioni, è ritenuta da alcuni non indispensabile, ed è questo un punto sul quale si potrebbero imbastire altre numerose diatribe.

Sir William Gladstone, statista inglese, affermò un giorno che ci sono due cose che fanno perdere la ragione agli uomini: l'amore e il meditare sulla natura del denaro. Nessuno può tuttavia negare l'importanza fondamentale della moneta negli scambi commerciali perciò, data la conformazione assunta dalle monete più usate, possiamo tranquillamente affermare che esse sono veramente le ruote della circolazione.

Fin dai primordi dell'umanità, s'impose la necessità di scambiare cosa contro cosa, (in genere prodotti vegetali spontanei ed animali selvatici). Finché si trattava di scambiare una cosa contro un'altra, il baratto era abbastanza semplice e ne scaturivano due prezzi in cose, uno dei quali era il reciproco dell'altro. Ma quando i bisogni, e quindi le cose per soddisfarli, cominciarono ad aumentare, la chiusura di questo circuito non risultò più così semplice: se da due si passava a dieci oggetti, si doveva ammettere l'esistenza di novanta prezzi. Si affermò quindi la necessità di assumere un solo bene come unità di misura e si giunse - grazie all'adozione di uno strumento d'intermediazione - a ridurre il numero dei prezzi; nel caso citato di dieci cose da scambiare, il numero dei prezzi si riduceva allora a nove, poiché il prezzo della cosa impiegata come mezzo di scambio era sempre uguale ad uno.

Sono innumerevoli gli esempi di beni che hanno servito o servono da moneta: sale, pelli, elefanti (a Ceylon), sassi (a Yap), penne (nelle Nuove Ebridi), arachidi (in Nigeria), cacao (in Messico), mandorle (nel Surat), gong (in India) e tamburi rituali (nelle Indie olandesi). Potrei ancora citare tavolette di tè o di tabacco compressi, usate fino al diciannovesimo secolo nella Cina occidentale, Tibet e Siberia meridionale, tessuti simili a fazzoletti o salviette nel Messico degli Aztechi, in Cina, Giappone ed in Africa occidentale. Sempre fino alla fine dell'Ottocento, nelle regioni tropicali ebbero enorme successo le conchiglie di cyprae moneta, volgarmente dette cauri, che sono in realtà chiocciole d'aspetto porcellanoso; il segno ideografico che, nella lingua cinese, significa denaro è derivato appunto da questa conchiglia. I cauri si trasportavano entro sacchi e poi generalmente venivano infilati su pezzi di spago; questi fili di conchiglie o ghirlande erano poi misurati in lunghezza. Si può aggiungere al proposito che, fino all'inizio della seconda guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna usavano coniare la monetazione coloniale con un foro in mezzo; era così facile quindi infilarle con un cordino e portarle alla cintura o al collo a guisa di collana.

Ma - per tornare alla preistoria - era necessario scegliere cose non facilmente aumentabili, come pietre o conchiglie, non imitabili in quantità illimitata dai falsificatori, come i tessuti, e, soprattutto, non deperibili, come i cereali od il bestiame, che fu tuttavia una delle principali merci di scambio e dal cui nome latino, pecus, abbiamo oggi la parola pecunia. Ecco che quindi, attraverso una reiterata eliminazione, si è giunti ai metalli, la cui scelta va attribuita ai sumeri, ai quali pare debba andare anche il merito di aver inventato già nel quarto millennio a.C. la scrittura ed il computo aritmetico, sviluppando la serie infinita dei numeri con un loro sistema basato sul dodici. II sistema duodenario, come ricorderete, è stato alla base fino alla fine degli anni '60 della suddivisione monetaria inglese. I sumeri, avendo ideato queste cognizioni, non avevano tuttavia un vero e proprio sistema monetario; essi stabilirono di fissare il corrispettivo di singoli oggetti o prodotti in argento od oro, ma questi metalli, consacrati agli dei, erano ammassati e salvaguardati dai sacerdoti nel tempio.

Credendo che il pallido argento fosse sacro alla divinità lunare, come l'oro coi suoi bagliori di fuoco era sacro al sole, e stabilito il rapporto fra i movimenti di rivoluzione dei due astri di tredici e un terzo, assunsero questo stesso rapporto quale proporzione fra il valore dell'oro e quello dell'argento. Per strano che possa sembrare, tale rapporto è stato valido fino ad una ventina d'anni fa, naturalmente tra frequenti momentanei sfasamenti.

Alla base del sistema sumerico fu la libbra d'argento, poi detta mina, del peso di 436 grammi, ed era divisa in sessanta sicli, ognuno dei quali corrispondente a centottanta grani di frumento.

Presso gli antichi ebrei, il siclo era invece la cinquantesima parte di una mina e pesava quindi un po' di più, equivalendo a duecentodieci grani. Secondo il Vangelo di Matteo, il prezzo per il tradimento di Gesù da parte di Giuda fu fissato in trenta sicli, poco più di duecento grammi d'argento.

A Babilonia troviamo il primo denaro in funzione di mezzo di pagamento: esso aveva un valore fisso che era ancorato a quello dell'argento, ma ben presto si diffuse sempre più largamente l'uso di un certo peso di rame, e più tardi di bronzo (una lega di rame e stagno) che aveva la forma di un'anitra. Non sappiamo se si sia scelta la forma di questo palmipede per avere un oggetto facile da afferrare, oppure se tale oggetto simboleggiasse il valore commerciale di un'anitra.

In alcune tribù negre della regione dell'Alto Nilo veniva usato il cosiddetto denaro utilitario, cioè oggetti che, oltre ad essere impiegati come denaro, avevano anche un valore d'impiego pratico, come vanghe, badili e picconi; sulla costa occidentale africana era in uso un denaro a forma d'anelli di rame e, nel continente africano, si usavano piastre circolari di rame, anch'esse con un foro al centro. In Cina, a partire dal settimo secolo a.C., si maneggiavano denari di bronzo a forma di coltelli a lama ricurva e nel terzo secolo, monete chiamate pu simili alla parte metallica di una zappa.

Tornando però al nostro mondo mediterraneo, diremo che tra i babilonesi l'uso del denaro in forma d'animale decadde presto. Gli antichi Egizi, pur sapendo far di conto e controllare con esattezza i pesi, conoscevano l'oro e se ne appropriavano nelle ricche terre del Punt (l'odierno Yemen), ma lo consideravano ancora una merce; lo pesavano con meticolosità e, come già i sumeri, ne traevano pregevoli monili e lo scambiavano a volte con altri prodotti dopo averlo ridotto in verghe.

Secondo la testimonianza di Erodoto, i fenici, ben noti a tutti per la loro alacrità nei commerci, adottavano anch'essi un sistema di scambio basato sull'oro, inteso sempre come una mercanzia. Essi, sulla costa occidentale africana, sbarcavano le loro derrate in riva al mare e si ritiravano sulle loro navi. Dopo un certo tempo comparivano gli indigeni ad esaminare l'offerta; se questa era di loro gradimento, deponevano, accanto alle merci una certa quantità d'oro in polvere e si ritraevano nuovamente all'interno. La parola allora era ai fenici che, tornati a terra, erano nell'alternativa di prendersi l'oro lasciando le merci, oppure di tornare sulle loro navi senza toccare niente. C'era adesso la possibilità che gli indigeni aumentassero la loro offerta di oro, oppure che la ritirassero.

E così l'affare procedeva fino a quando ognuna delle due parti era soddisfatta dell'offerta dell'altra, né mai qualcuno cercò di ingannare l'altro, portandosi cioè via tutto. Quando la nave fenicia era di ritorno, si chiudevano i conti calcolando spese, guadagni e perdite, nonché le prestazioni personali dei naviganti, e si procedeva a rimborsare i finanziatori del viaggio.

Ma il conteggio fatto esclusivamente sulla base del peso dei metalli andava facendosi sempre più complicato e sempre meno soddisfacente. Quanto più i fenici estendevano i loro rapporti commerciali ed i popoli stranieri adottavano il sistema degli affari in metalli preziosi, tanto più urgente diveniva l'esigenza di un simbolo visibile e soprattutto tangibile del valore monetario.

Negli scavi effettuati nelle basi commerciali fenicie appaiono le prime monete, di cui si sono ritrovati esemplari anche in punti lontanissimi, come le Azzorre, in mezzo all'Atlantico. Ma non furono i fenici gli inventori del denaro-moneta, tale vanto spetta ad un altro popolo: quello del Lidi.

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pepita d'oro

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